Introduzione alle protesi monocompartimentali (http://www.doctor33.it/ortopedia/ct-77044.html) A cura del Comitato tecnologie ortopediche Allo stato attuale delle conoscenze in chirurgia protesica esistono diversi tipi di impianti protesici di ginocchio che vanno dalla protesi monocompartimentale alle protesi combinate (mono + femoro-rotulea), passando attraverso le protesi Bimonocompartimentali fino ad arrivare alle protesi totali di ginocchio. In aggiunta, all’interno della stessa categoria di protesi totali, ne esistono di diversi tipi in funzione del design, del grado d’invasività e di vincolo e con una base biomeccanica diversa. Il razionale che muove la scelta del singolo tipo di impianto deve essere una valutazione qualitativa e quantitativa dell’artrosi di ginocchio e di conseguenza una scelta mirata dell’impianto in funzione del tipo di artrosi e delle aspettative funzionali del singolo paziente. Nell’immaginario collettivo è però rimasta l’idea di una chirurgia da praticarsi il più tardi possibile e solo in condizioni disastrose. D’altro canto, lo spettro di dover eseguire una revisione nel corso della propria vita era, almeno in passato, tutt’altro che incoraggiante. Ad oggi il miglioramento dei materiali e del design degli impianti protesici, oltre alla diffusione su larga scala dei risultati delle casistiche di impianti sia mono che totali, ha portato ad una nuova valutazione complessiva dell’orizzonte protesico. Nei primi anni 2000, gli ottimi risultati delle curve di sopravvivenza, al follow-up delle casistiche di protesi monocompartimentali, prodotte dai centri di maggiore “expertise”, ha acceso una nuova luce sul loro impiego. Dall’altra parte, l’analisi qualitativa, e non più solo quantitativa dei risultati delle protesi totali di ginocchio, ha fatto emergere un gap di soddisfazione da parte dei pazienti, che ha portato ad una nuova valutazione complessiva delle indicazioni chirurgiche. In effetti, per molti anni il criterio dominante di valutazione dei risultati degli impianti protesici, in generale, si è basato su un criterio solo quantitativo: il numero di revisioni all’interno di ciascuna casistica in studio. L’utilizzo, infatti, del metodo di Kaplan Meyer per la valutazione statistica dei risultati si fonda su un unico criterio: la revisione come indice di fallimento. I dati in questo modo raccolti danno una visione non qualitativa del funzionamento dei singoli impianti all’interno di ciascuna casistica. In altre parole, in questo modo sappiamo quante protesi sono fallite, e pertanto quanti pazienti sono stati sottoposti ad intervento di revisione, ma non sappiamo nulla su come stanno effettivamente tutti gli altri pazienti, non revisionati, all’interno delle singole casistiche. Tutto ciò ha portato ad una nuova visione analitica dei risultati delle protesi secondo un criterio questa volta di “Evidence Based Medicine” (medicina basata sull’evidenza o EBM), cioè utilizzando dati rilevati dagli stessi pazienti (PROMs: patient reported outcome measures e PREMs: patient reported experience measures). L’attenzione, in questo modo, si è spostata o, per meglio dire, è tornata sui pazienti e non più sulle protesi in quanto tali. Ciò che è emerso, è che, se da una parte è vero che le protesi totali di ginocchio sono soggette ad un minor numero di revisioni per fallimento rispetto alle mono, manifestano un tasso di insoddisfazione più alto da parte dei pazienti che varia a seconda delle casistiche tra il 10 e il 30%. In altre parole, vi è un’ampia parte dei pazienti studiati con la Kaplan Meyer che non sono stati revisionati, e perciò non ritenuti un fallimento, ma che non funzionano soddisfacentemente. Da un punto di vista qualitativo corrisponde ad un fallimento! Il perché essi non vengano revisionati apre uno scenario ben più complesso che coinvolge anche la mentalità dei chirurghi, molto più orientati a revisionare precocemente un impianto monocompartimentale rispetto ad una protesi totale. Il principio di una scelta mininvasiva che preveda la preservazione dell’integrità strutturale del ginocchio, come quella compartimentale, è probabile che possa avere minore impatto sulla percezione dei pazienti e sul livello di soddisfazione conseguentemente. Purtroppo, questa osservazione rischia di essere solo presuntiva, dal momento che il numero di impianti monocompartimentali di ginocchio è ancora largamente al di sotto delle reali indicazioni. In condizione di una più corretta distribuzione delle indicazioni all’interno della popolazione gli scenari possibili potrebbero essere due. Una riduzione complessiva del tasso di insoddisfazione o una ridistribuzione dello stesso dovuto ad un aumento percentuale nel campo delle mono. Nonostante tutto, esiste ad oggi un enorme gap culturale che relega la scelta di un impianto compartimentale alla sola opzione protesi mono mediale di ginocchio e solo in alcuni casi. Anche questa visione è assolutamente insufficiente ad una valutazione moderna quali-quantitativa della patologia artrosica e dei suoi possibili trattamenti. In linea di principio, la scelta verso un tipo di impianto piuttosto che un altro, dovrebbe essere fondata su di una conoscenza a 360° degli impianti di ginocchio, ovverossia di tutti gli impianti disponibili, dalla mono alla totale. La logica, forse più corretta, dovrebbe far sì che la scelta del tipo di impianto fosse sempre basata sul corretto “match” tra grado e tipo di degenerazione artrosica del singolo paziente da una parte, e tipo di impianto popssibile dall’altra, tenendo sempre ben presenti le esigenze e le aspettative funzionali dei pazienti. Alle nuove generazioni di chirurghi il compito di allargare i propri orizzonti culturali per una chirurgia via via più evoluta. Dr Giuseppe Calafiore Chirurgia Protesica Mininvasiva protesica di Anca e Ginocchio Casa di Cura Città di Parma IRCCS Humanitas, Rozzano Presidente Comitato Tecnologie SIAGASCOT |
Direttore responsabile: Giorgio Albonetti / Direttore editoriale: Ludovico Baldessin / Direttore scientifico: Massimo Berruto / Coordinamento editoriale: Marco Malagutti / Direzione commerciale dircom@lswr.it |